La casa del giovane Lavoratore
La prima realizzazione della Fondazione Belloni fu la Casa del Giovane Lavoratore, inaugurata, alla presenza di S. E. il Cardinale Ildefonso Shuster, dal Ministro del Lavoro On. Ezio Vigorelli il 16 maggio 1954.
Di fatto la vita era però iniziata circa 2 mesi prima della sua inaugurazione, quando si dovettero sistemare alla meglio i primi ospiti, presenti ancora i muratori in casa. Un inizio quindi con il «fatto» che precede la «forma», allo stile dei pionieri e dei giovani in genere.
La vera storia della Casa però era già iniziata da alcuni anni ed ebbe avvio dal fortunato e provvidenziale incontro tra Donna Maria Belloni, alla ricerca di un’idea grande da realizzare come ricordo dell’amato Consorte, e don Raimondo Bertoletti, dinamico Assistente delle ACLI di Milano, vulcano di idee in cerca di chi lo potesse aiutare a realizzarle.
Non fu difficile trovare un piano concreto di azione e costruire un Pensionato per giovani lavoratori, che non fosse solo bello e funzionale nelle strutture, ma soprattutto fosse una risposta ai problemi ed alle esigenze dei giovani lavoratori, lontani da casa, bisognosi di ampliare la loro cultura, il loro amore a tutte le cose belle della vita.
Le indagini statistiche condotte nel 1958 danno un quadro assai preoccupante sul problema delle immigrazioni di manodopera con destinazione Milano. Ma già fin dal 1950 il problema si manifestava grave. La riprova si ebbe nel tempo record col quale la Casa si riempì.
La vita dinamica e fortunata di quest’opera fu dovuta quindi alla sua esatta inserzione nel momento storico: ha risposto in pieno ad una vera e pressante esigenza.
La Casa sorge in Viale Fulvio Testi, importante arteria di collegamento tra Milano, Sesto San Giovanni e Monza, area all’epoca tipicamente operaia e industriale che ospitava, tra altri, gli stabilimenti della Breda e della Pirelli.
L’edificio fu costruito per offrire ospitalità a giovani lavoratori di età compresa tra i 16 e i 24 anni che non disponevano di una casa. Si volle fare il possibile affinché i lavoratori, lontani da casa e dalla famiglia, giunti a Milano in cerca di lavoro, potessero trovare conforto in un ambiente accogliente e fare di esso la loro casa temporanea.
La struttura poteva ospitare 260 giovani e nella grande sala mensa potevano essere serviti, oltre che gli ospiti, anche persone esterne. Vi era un ambulatorio, un’infermeria, una sala lettura e una biblioteca, una sala dedicata alla musica e una sala svago.
La Casa del Giovane Lavoratore divenne strumento di elevazione spirituale e culturale per i suoi ospiti. A tale scopo, sotto l’attenta gestione della Casa da parte delle ACLI milanesi (Associazione Cristiana Lavoratori Italiani), fu realizzato un complesso di iniziative volte a rendere la vita della Casa «comunitaria», e fu compiuto ogni sforzo affinché i giovani potessero trovare tra le sue mura non soltanto il decoro e il comodo di una coabitazione familiare, ma anche la possibilità di approfondire le loro conoscenze più varie.
Non furono volutamente prese in considerazione le convinzioni religiose e politiche. Questo sembrò doveroso, volendo rispettare pienamente quella personalità al cui sviluppo si intese contribuire. Chi volesse educare partendo dalla imposizione, fallirebbe, poiché l’educazione si rivolge allo spirito, che, almeno nella società attuale, è il solo campo in cui la libertà può, se coltivata, dominare.
Per questo motivo nella Casa era «offerta», mai imposta, ogni possibilità di impegno personale anche in campo religioso: la Cappellina e il Sacerdote sempre presente erano il centro di richiamo.
Le varie attività, ricreative, culturali, assistenziali, erano organizzate sempre dagli ospiti stessi e da essi volute.
Una commissione composta da 5 ospiti democraticamente eletti ogni anno si occupava di gestire il «Fondo di Solidarietà» della Casa del giovane lavoratore. La commissione decideva come allocare le risorse disponibili in favore di quegli ospiti che si fossero trovati in difficoltà per sussidi per malattie, infortuni, momentanea disoccupazione o sciopero, borse di studio a studenti serali, sussidi per tasse, libri e iniziative assistenziali esterne alla Casa.
Oltre al Fondo, sempre organizzato dagli ospiti, vi erano un servizio biblioteca, una sezione sportiva (calcio, ciclismo, pallavolo), un gruppo escursionistico (gite in montagna, in bici, ecc..), un cineforum aziendale, un gruppo musicale con una piccola orchestrina, un gruppo modellisti, la redazione del giornalino mensile “Fatti nostri” e altri ancora. Il direttore della Casa, il ragioniere Franco Carcano, destinato in seguito ad assumere la presidenza della Fondazione Clerici, era riuscito inoltre a istituirvi corsi di lingue e specializzazione.
Inutile enumerare tutte le iniziative: il principio fondamentale fu quello per cui qualsiasi iniziativa è possibile, purché qualcuno se ne interessi. Una tra tante fu anche la possibilità di scambi internazionali, che si realizzarono sin dai primi anni di vita della Casa, il cui primo accordo fu stipulato con un pensionato per lavoratori di Parigi.
La Casa del giovane lavoratore fu autogestita dagli ospiti dal ’75 al ’90. Nel ’90 grazie all’intervento di Don Virgilio Colmegna, Presidente della Fondazione Belloni, l’edificio fu ristrutturato con la collaborazione della Fondazione Cassoni e fu dato in consegna alla Fondazione San Carlo alla quale tutt’oggi è affidata la gestione.